Che paura. Al buio proprio no!

“Non voglio restare al buio”, frase ricorrente tra le mura domestiche, ampiamente pronunciata al momento di andare a dormire. Chiaramente ci riferiamo perlopiù ai bambini, anche se la paura del buio colpisce chiunque. Oggi con lo psicologo Vincenzo D’Amato trattiamo quella del bambino, analizzando in primis da dove insorge. «Le cause possono essere svariate, innanzitutto può esserci stata un’educazione castrante dove da piccolo, per fargli fare il bravo, gli vengono dette realtà errate, tipo: “non fare il cattivo, altrimenti chiamo l’uomo nero”, oppure “ti vengono a prendere” o altre cose che automaticamente gli creano un trauma», afferma il dottore sostenendo quanto possono essere nocive perché fungono da ancoraggio in quella che, nella vita dei bambini, è la fase paragonabile ad un foglio bianco su cui si scrive tutto ciò che si dice, perciò se si fa riferimento all’uomo nero, loro lo ricollegano nel buio, di conseguenza sale la paura. Secondo D’Amato, ipnotista specializzato, la motivazione principale è questa oppure potrebbe scaturire da un’esperienza in vita pregressa, già vissuta, poiché la paura del buio è un qualcosa di ancestrale, cioè un po’ tutti ce l‘hanno. Qualcuno nel tempo ne viene fuori, qualcun altro se la porta dietro visto che potrebbe ricondurlo ad un’epoca in cui nel buio probabilmente c’erano agguati, quindi le energie essendoci state già reagiscono d’istinto. Per farcelo comprendere meglio, lo psicologo ci invita a prendere l’esempio dei topolini, i quali per sette generazioni, se la mamma è stata immersa nel ghiaccio mentre era incinta, nel DNA hanno impresso il segnale di pericolo e dunque gli stanno a debita distanza. Pur non avendolo mai conosciuto, se vedono il ghiaccio si allontanano prontamente; dentro di loro scatta l’impulso di tutelarsi, così accade all’essere umano se in una vita precedente, nel buio, ha dovuto far fronte ad eventi traumatici, magari una decapitazione. A tal proposito si suggerisce ai genitori di non alimentare questi stati d’animo, mai utilizzare termini negativi con il figlio, è bene educarlo non con la negazione ma con la positività. Dirgli “sei un cretino”, il suo inconscio lo prenderà per vero e lo farà comportare da tale. «Se devo correggere un figlio – continua lo psicologo – perché giustamente deve essere corretto, devo farlo nella maniera esatta, quindi: “sei stato poco attento, come mai?”, “non sei molto concentrato, perché?”,  “hai fatto questa cosa, vogliamo migliorare?”, “capiamo insieme”, ma mai dire: “sei scemo”, “sei un cretino” e purtroppo sento un sacco di genitori che invece lo fanno.  Il buio è tra quelle cose che il genitore stesso va ad alimentare». Oltre alle due probabilità, ovvero il fattore ancestrale o la paura indotta dai genitori, un’altra motivazione è il trauma del risveglio senza aver trovato la madre accanto: il piccolo era al buio, ha sentito dei rumori, ma quando si è svegliato si è visto solo nella camera da letto, posizionato in culla. E nell’età dell’attaccamento la figura materna è fondamentale per il bambino. Come si spiega nella tesi della fase dell’attaccamento di Bowlby, se manca la figura materna in alcuni periodi, da adulti si possono vivere svariate problematiche. Ecco allora che nell’ipotesi di un risveglio al buio in assenza della mamma attenta a placare quel vuoto, il bimbo lega proprio al vuoto un trauma. Esattamente come accade nel racconto del cagnolino che insegue l’uccello (leggi nell’articolo https://www.vincenzodamato.it/perche-si-gelosi-cosa-non-compromettere-un-rapporto/). Il nostro inconscio, infatti, crea degli ancoraggi, perciò in alcune situazioni: buio uguale pericolo. Qualsiasi sia la causa, l’unico modo per venirne fuori è andare a sciogliere il trauma, che sia al presente o al passato e lo si può fare tramite l’ipnosi, scendendo a livello inconscio fino a modificare quell’evento affinché scompaia definitivamente la paura del buio.