Claustrofobia: controllarla e vincerla

Quella maledetta paura degli spazi vuoti. La claustrofobia, potente promotrice di malesseri legati a zone chiuse. Il claustrofobico presenta sintomi quali ad esempio mancanza d’aria, respiro affaticato, capogiri. Controllarla e vincerla si può, ma in primis avviciniamoci alla natura della claustrofobia: da cosa deriva? Ne parliamo nella consueta intervista a Vincenzo D’Amato, rinomato dottore in psicologia. «Solitamente la claustrofobia fa parte di quelle paure o fobie appunto di spazi chiusi, quindi ogniqualvolta ci si vede in detti luoghi, che possono essere un’auto, un ascensore o un ambiente piccolo, arrivano segnali di risposte dell’inconscio, i quali non ti fanno vivere bene». Questa patologia, spiega D’Amato, dipende da vari elementi costituenti, innanzitutto può esserci stato un trauma in un momento della propria vita, magari da bambini si è rimasti bloccati in ascensore o chiusi in macchina ed avendo avuto paura, ogni volta si verificano situazioni simili a quegli eventi, vengono messi in gioco dei fattori che fanno ripartire gli stessi segnali. Praticamente viene rivissuta l’esperienza. La claustrofobia colpisce pure in ambienti aperti, ove però c’è tanta gente, tipo ai concerti e ciò accade perché «è come se all’individuo mancasse l’aria. Nonostante sia all’aperto – continua lo psicologo – ai concerti c’è gente intorno quindi si sente stretto, chiuso in una morsa fatta di persone anche se l’aria c’è. La claustrofobia ti porta non ad avere una mancanza d’aria vera, è sostanzialmente una reazione perché in realtà l’aria c’è. In effetti stare in mezzo alle persone che ci sono intorno ti chiude in uno spazio comunque piccolo dove hai difficoltà a muoverti, quindi ti rigenera la stessa sensazione». Di motivazioni ad ogni modo se ne riscontrano svariate, una delle quali potrebbe essere stata scatenata al momento della nascita, ovvero ad un istante in cui venendo alla luce, il nascituro ha accusato soffocamento, di conseguenza quella restrizione è stata recepita in maniera irrazionale come un pericolo, allora il soggetto trovandosi in ambienti chiusi ricollega la condizione e soffre di mancanza d’aria. In questo caso, razionalmente non si verrebbe mai a capo della problematica, così come se la natura del disturbo dovesse ricondurre ad una causa connessa ad una vita precedente. In tutta sincerità, infatti, un movente reale potrebbe appartenere addirittura a vita passata, pertanto v’è una chiara inconsapevolezza, a meno che non si ricorre a metodi specifici al fine di individuarne la fonte. L’unico modo per ottenere una risoluzione definitiva e rapida è il trattamento con l’ipnosi. Quale sia il processo a tal proposito, lo spiega il dottor Vincenzo D’Amato, ipnotista specializzato: «Se c’è una motivazione oggettiva, razionale e riconoscibile è possibile risolvere anche attraverso la Pnl (programmazione neuro linguistica, ndr), con tecniche non ipnotiche; invece di fronte ad una motivazione non consapevole, quindi il momento del trauma non c’è, devo andare obbligatoriamente in ipnosi a recuperarlo e ciò avviene con una regressione, che possa essere in questa vita o in una precedente. L’inconscio mi porterà alla circostanza in cui è successo, me lo verbalizzerà ed io potrò rielaborarlo cambiandogli il senso, così che possa essere accettato». A volte la claustrofobia colpisce all’improvviso, vale a dire che se fino ad un certo punto della nostra esistenza non ne abbiamo sofferto, viene fuori inaspettatamente. Questo perché l’inconscio è molto particolare, ossia le reazioni non partono sempre alla stessa maniera, potrebbe esserci un ricordo di una sensazione vissuta, per cui si diventa claustrofobici e difficilmente la patologia scompare naturalmente. Bisogna intervenire, lasciandosi aiutare da professionisti.