“Disinganno”. Analisi del cortometraggio della dott.ssa Alessia Belgianni

Osservando attentamente il cortometraggio in questione, è evidente che emergono diversi spunti di riflessione dei quali vorrei parlarvi.

Prima di tutto ho rivolto la mia attenzione all’ambito familiare in cui vive Monica, la protagonista del filmato. Fin da subito è chiaro che i suoi genitori nutrano molte ed elevante aspettative nei confronti della loro figlia, sia per quanto riguarda lo studio e sia per quanto riguarda il contesto lavorativo. Per cui Monica cerca costantemente di non deluderli, portando avanti gli studi e dedicandosi al lavoro. Le sue giornate sono così impegnate che non riesce a ritagliare i suoi spazi, trascurando le sue amicizie, le sue passioni, e, dunque, se stessa e la sua sfera più intima e privata. Già questo aspetto può rappresentare la fonte di un forte stress, e, quindi, di un malessere e di una sofferenza. Ci troviamo difronte a genitori che attribuiscono molta più importanza alle proprie esigenze, piuttosto che alle esigenze dei figli, in particolar modo di Monica. Non a caso il loro pensiero fisso è quello di non lasciar morire la loro struttura alberghiera, frutto di sacrifici, spingendo sempre di più la loro figlia a lavorare in quell’ambito e nel migliore dei modi. Inoltre, il fatto che sia stato il padre a volere che Monica intraprenda un percorso di studi universitario, fa pensare che questa ragazza non ha neppure la libertà di poter operare delle scelte nella sua vita. E’ un aspetto da non sottovalutare perché i genitori devono avere rispetto per la liberà di scelta dei propri figli.

Pertanto ci ritroviamo dianzi ad un contesto familiare che presenta delle fratture nel rapporto genitori- figli. Questa considerazione è estremamente importante perché può porre le basi per la nascita di fragilità emotive di quei figli. Soltanto il fratello di Monica si dimostra più empatico e comprensivo nei confronti di quest’ultima, è più presente nelle questioni che riguardano la sfera personale della stessa, ed è sempre pronto ad aiutarla in caso di necessità. In tal senso i genitori sono completamente assenti. E’ completamente assente il dialogo con i figli, fondamentale per mantenere un’unione, che sia familiare, o in senso lato, in altri tipi di rapporti umani. Attraverso il dialogo i ragazzi possono esprimere le loro problematiche e i loro disagi, trovando anche l’appoggio di figure adulte come una mamma ed un papà, che, in questo modo, possono (anzi devono) correre in loro aiuto. Se manca il dialogo, manca il rapporto. E se mancano le basi per mantenere vivo quel rapporto genitori- figli, questi finiranno per cercare di risolvere i loro problemi attraverso mezzi, a volte, letali.

Andando avanti nella visione del cortometraggio arriviamo al punto nodale: una persona, già di per sé fragile, preda di chi ha voglia di giocare con i sentimenti altrui. Monica preda del Signor Carlo, il quale mette in atto una condotta al quanto manipolatoria al fine di farle credere che sia davvero interessato ad avviare una conoscenza e conseguentemente una relazione di coppia. Le rivolge parole bellissime, toccanti, le dedica del tempo, delle attenzioni, le fa provare emozioni, e finalmente la fa sentire più leggera, allontanandola da quella pesantezza che vive in famiglia e distraendola un po’ da tutti gli impegni giornalieri. Peccato che la stia soltanto illudendo. Si sta prendend

 

o gioco di lei. Monica se ne accorge, ma troppo tardi. Quando lui è già penetrato nei suoi pensieri, quando di lui non riesce a farne a meno. Successivamente entra di uno stato di sofferenza, di frustrazione e depressione, addirittura autocolpevolizzandosi se Carlo si è comportato in quel modo. Non ha consapevolezza che il vero problema è lui. Dunque, disperata, sceglie di suicidarsi. Non c’è stato un uso di sostanze stupefacenti, neppure di alcool, né tantomeno si è presentata una condotta autolesiva. Dall’eccessiva disperazione si è direttamente tolta la vita.

I predatori scelgono appositamente vittime sensibili e fragili, sanno dove colpirle per poterle attirare a sé, è proprio questo il caso. Ho percepito Monica come una ragazza tanto bisognosa di attenzioni, di affetto, e di gratificazioni, e purtroppo non ne riceve da parte della famiglia, se non dal fratello, più apprensivo e accorto nei suoi confronti. Per cui, fragile emotivamente, si è lasciata andare tra le braccia di un uomo che, in realtà, la violenta psicologicamente e poi la abbandona. Si è fidata della persona sbagliata ma non è di certo lei ad essere un errore, come , invece, sostiene. Infatti nel filmato afferma :” Ho sbagliato io?” mettendo in dubbio se stessa e non l’altra persona.

Considerando queste riflessioni, lo scrittore Davide Guida mi ha rivolto la seguente domanda: “Perché Monica è arrivata a mettere in atto l’estremo gesto suicidario pur avendo la vicinanza del fratello, disposto ad ascoltarla e ad aiutarla?”. Domanda molto interessante e meritevole di risposta.

In situazioni come quella che ha vissuto Monica , molto spesso, non basta un solo familiare che tende la mano, ma c’è bisogno dell’aiuto di uno professionista che abbia competenze in ambito psicologico e psicoterapeutico. Ma è fondamentale che chi si sottopone alla terapia abbia consapevolezza che effettivamente ci sia un problema da risolvere. Se manca questa consapevolezza è, in genere, difficile che si scelga di andare in cura da uno specialista, proprio come nel caso di Monica.

In conclusione mi sento in dovere di lasciarvi con due considerazioni che non posso non riportare perché riprendono i temi che sono stati trattati nel cortometraggio, a mio modo di vedere molto profondo nel messaggio che ha lanciato.

Ci tengo a precisare che, oggi, nel contesto sociale in cui viviamo, c’è davvero pochissimo dialogo all’interno delle famiglie. Il che, lo ribadisco, è un danno. I ragazzi non riescono ad avere quella confidenza ‘intima’ con i loro genitori, al punto che non esternano le loro sofferenze, i loro stati d’animo, i loro pensieri, le loro problematiche, ma neppure le loro gioie o, banalmente, l’andamento della loro giornata. Quindi quando si presenta un problema si sentono soli nel cercare una soluzione. E non dovrebbe essere così. È come se ogni componente della famiglia fosse ‘scollegato’ da tutti gli altri componenti, come se ognuno vivesse nel proprio mondo, e nel momento in cui serve l’unione, non c’è. La famiglia deve essere unione, complicità, sintonia, e soprattutto amore. Quando si pranza, quando si cena, togliamo i cellulari, guardiamoci negli occhi e parliamo con i nostri cari, quelli sono i momenti della giornata in cui ci si riunisce, si sta insieme e ci si confronta. Parlare di ciò che ci fa male, con coloro di cui ci fidiamo, per cui in primis i familiari, è il primo passo per la risoluzione di un problema, di qualsiasi natura esso sia.

Per giunta, considerando quanto emerge dal filmato, devo dire che, oggi, quando si presentano casi di omicidio o suicidio sento spesso dire :” Se è andata a finire così è perché lei/lui se l’è cercata”. Si tende, a volte, a colpevolizzare la vittima piuttosto che il colpevole. Se ancora vige questa scuola di pensiero, vuol dire c’è un forte necessità di rieducazione sociale, volta ad abbattere determinate ideologie che io reputo nocive.

 

 

Dott.ssa Alessia Belgianni

Sociologa, Criminologa, Esperta in Scienze Forensi, Criminologia Investigativa, Criminal Profling. Socio dell’Osservatorio Violenza e Suicidio.