IV° Incontro di ArtEvangelo – Luigi Auriemma – Pina Della Rossa

Casalnuovo di Napoli, giovedì 11 aprile 2024, ore 19,00
                 Piccola Biblioteca Protestante
                   presso
Chiesa libera di Casalnuovo, Via Giovanni Verga, 8
                                            IV° Incontro di ArtEvangelo 
  tra arte e cristianesimo
 Luigi Auriemma
Pina Della Rossa
Dopo aver ospitato lo storico e critico d’arte Giorgio Agnisola, il quarto incontro di ArtEvangelo, una iniziativa di Salvatore Manzi e Stefano Taccone, torna ad avere come protagonisti due artisti già apparsi sulla rivista trimestrale.

 Luigi Auriemma sembra contaminare la tradizione tutta italiana della poesia visiva con quella oltreoceanica della site-specificità. Rispetto a queste due tendenze, entrambe con le radici negli anni sessanta-settanta, ovvero in un tempo nel quale vige ancora – per poco – l’imperativo rimbaudiano dell’essere assolutamente moderni, il suo discorso abbonda però di riferimenti ad autori classici ed a paradigmi antichissimi, mentre l’attualità, intesa come cronaca, è bandita. Le sue poesie plastiche istituiscono infine la dimensione del sacro. Un sacro che non si configura tuttavia né come mero spazio dell’alienazione, né come strumento del potere. Esso è piuttosto intervallo necessario – direbbe Gillo Dorfles – per un’esperienza qualitativamente superiore. Non si può pensare che ogni momento della vita umana possa essere sempre allo stesso grado di intensità. Esistono momenti di ripiegamento e momenti di dilatazione; momenti implosivi e momenti esplosivi, ma non per questo, a differenza di quanto direbbe Quoelet, tutto è vanità. Essi acquisiscono piuttosto valore nella loro compresenza senza compenetrazione, nella loro alternanza senza soluzione. L’evocazione della dimensione del sacro avviene pertanto nell’unica modalità che all’uomo-artista è concessa, ovvero attraverso il profano. Come, in altre parole, la poesia che adopera il canale verbale possiede la vocazione a dire l’indicibile, così la poesia che si fa plastico-visiva non può che rendere ciò che è oltre i sensi attraverso il sensibile.
«Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. […] Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. […] Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità» (Isaia 53, 5; 7; 11). Sono questi solo alcuni brani di quel passo che – contenuto nel più celebre dei libri profetici dell’Antico Testamento – è comunemente conosciuto come del “servo sofferente”. In esso, alcuni secoli dopo, si vorrà individuare una prefigurazione di Cristo. D’altra parte, fin dall’età apostolica, i discepoli non smetteranno di credere nel valore della sofferenza di ciascuno, senza porsi in contraddizione rispetto alla fede nel carattere definitivo, epocale del sacrificio del loro Signore per la salvezza del mondo. Ciò è assai eloquentemente testimoniato da un passaggio di una lettera paolina: «Ora io sono felice di soffrire per voi. Con le mie sofferenze completo in me ciò che Cristo soffre a vantaggio del Suo corpo, cioè della Chiesa» (Colossesi 1, 24). Le stampe fotografiche di Pina Della Rossa alludono, attraverso una materia costantemente lacerata, consunta, impura, a paesaggi interiori. È la storia di un’anima segnata da dolori e da patimenti che trovano però anche il loro momento di trascendenza, come suggerito – tra l’altro – da alcuni titoli. La ferita è così innanzi tutto accadimento traumatico, come carne che si squarcia, ma un momento dopo è uno squarciarsi insieme delle tenebre e dunque un dischiudersi di lacerti luminosi che ristorano e confortano nel loro esistere indicibile. La figura isaiana del “servo sofferente” trova così una sorta di nuova, tacita riconfigurazione attraverso la fotografia che etimologicamente è scrittura di luce – ed anche nella scrittura di Pina, come in quella del profeta ebraico e dello stesso Paolo di Tarso, il soggetto eccede il suo specifico per farsi storia in cui molti possano identificarsi.

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